È stata una canzone costruita parafrasando certi slogan che si leggevano allora sui giornali. Allora sembrava che la terza guerra mondiale dovesse scoppiare da un momento all’altro.
[da “Sergio Endrigo” (Lato Side Editori, 1982)]
È stata una canzone costruita parafrasando certi slogan che si leggevano allora sui giornali. Allora sembrava che la terza guerra mondiale dovesse scoppiare da un momento all’altro.
[da “Sergio Endrigo” (Lato Side Editori, 1982)]
Riccardo Rauchi aveva un contratto con La Voce Del Padrone ed io ero il suo cantante: quando è stato registrato Non Occupatemi Il Telefono a Milano, in via Torino, in una chiesa sconsacrata dove c’era una sala d’incisione, è venuto Gino Paoli a sentirmi, visto che la canzone l’aveva incisa anche lui prima di noi.
Prima di entrare nel gruppo di Rauchi ho cominciato a cantare a Venezia, al “Roxy Bar” del Lido di Venezia, un bar all’aperto dove si faceva concertino pomeriggio e sera, poi sono andato al “Cristallo” di Mestre, una balera che oggi non esiste più. Mi ricordo questa grande balera dove c’era un grande posteggio di biciclette. Poi non so bene come, prima di fare il servizio militare, ho fatto un contratto con l’orchestra di Ruggero Oppi, un bolognese, lui suonava la batteria e cantava canzoni del tipo: “Ai romani piaceva la biga, più dinamica della lettiga…” ed io ero il cantante del gruppo, cantavo in inglese e in francese e poi c’era una cantante che cantava in italiano e napoletano. Con lui facemmo l’”Odeon” di Milano, che era una grande balera all’ultimo piano di un edificio attaccato a Piazza San Marco, poi Campione d’Italia e l’Hotel Bellevue di Cortina.
[da “Sergio Endrigo. La Voce Dell’Uomo” (Edizioni Associate, 2002)]
1947 è la mia storia, la storia della mia famiglia scacciata da Pola, dall’Istria, anche se io allora non ho sofferto molto, perché per me che avevo quattordici anni partire era un po’ un’avventura, ma per mia madre fu un colpo veramente duro lasciare la casa, gli amici, l’ambiente, la strada dove camminavi tutti i giorni, così all’improvviso. Fu veramente una sofferenza per gli adulti. E così l’ho cantata pensando non tanto a me quanto a loro, ai grandi.
[da “Sergio Endrigo. La Voce Dell’Uomo” (Edizioni Associate, 2002)]
Negli anni ottanta, a tutti i semafori più frequentati c’erano dei gruppetti di ragazzi ma soprattutto di ragazze carine che vendevano un po’ di tutto. Due rose, fazzoletti di carta, omini per appendere gli abiti e persino cacciaviti e altre cose. Oggi per mille lire (mezzo euro) c’è solo un extracomunitario che vi pulisce il parabrezza.
…questo è quello che dico sempre al pubblico prima di cantare questa allegra marcetta.
[Sergio Endrigo]
Questo fu il primo disco inciso per la Fonit-Cetra e anche il mio primo, e forse ultimo disco, a entrare nel circuito dei juke-boxe che allora avevano una grossa importanza. Io personalmente ho sempre odiato i juke-boxe, perché non si può costringere le persone ad ascoltare musica nei locali pubblici.
I versi che vorrei citare sono quelli finali, in cui c’è una rima classica della canzone italiana: amore-cuore, che mi sembra di aver utilizzato senza creare disturbi all’ascoltatore.
[da “Sergio Endrigo” (Lato Side Editori, 1982)]
Molti anni fa sono stato invitato dal mio grande amico Arsen Dedic, grande musicista, poeta e cantautore di Zagabria, a cantare a Sarajevo. C’era l’elezione di Miss Yugoslavia e ci sono caduto.
Non voglio e non posso raccontarvi tutto. Se vi capiterà di ascoltare questa canzone, capirete tutto…
[Sergio Endrigo]